Stories di Formaggio

alessia musi
4 min readDec 24, 2018
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La teoria della scelta

“Se un ratto deve scegliere tra 2 percorsi che portano al cibo — uno in linea retta e l’altro che gli consente di scegliere se andare a destra o a sinistra — sceglie il secondo.”

Il libro da cui ho imparato questa cosa è di Tali Sharot, si intitola “La scienza della persuasione” ed è un libro che, a mio avviso, dovrebbe leggere chiunque lavori nel marketing.

Il cervello dei ratti, così come quello umano, percepisce la scelta come una ricompensa in sé e per sé.

Per influire sulle azioni altrui è quindi importante fornire alle persone un senso di controllo: la mancanza di possibilità di agire genera infatti rabbia, frustrazione e resistenza mentre l’opportunità di scegliere aumenta la motivazione e l’adesione.

La teoria dell’urgenza

Se si parla di persuasione, poi, è impossibile non citare anche i 6 principi base descritti da Robert Cialdini che (giusto per ripassarli) sono reciprocità, consistenza, riprova sociale, autorità, consenso, scarsità/urgenza.

Riguardo a quest’ultimo punto Cialdini condusse, tra gli altri, il seguente esperimento: i partecipanti al test dovevano assaggiare e valutare dei biscotti al cioccolato.
Il risultato fu che chi tra loro si serviva da un barattolo contenente 2 biscotti li giudicava mediamente migliori rispetto a chi pescava uno stesso identico biscotto da un barattolo che ne conteneva 10.

La sensazione di urgenza generata dal fatto che qualcosa sta per terminare ci induce infatti ad approfittare di una situazione prima che sia troppo tardi, quindi ad agire.

Le stories

Quelle sopra citate sono lezioni teoriche, lette tra le pagine di un libro e basate su esperimenti di laboratorio che pochissimi di noi potrebbero riprodurre o imitare.

Poi c’è la pratica.

La quotidiana e abitudinaria pratica, che mi è balzata agli occhi ieri mentre scialacquavo tempo su Instagram: io ero il topo e i contenuti erano il mio maledetto formaggio.

Instagram (ma ovviamente non è il solo) sa che per aumentare la mia adesione deve farmi scegliere.

La prima scelta che mi offre è quella tra news feed e stories: come a dire “hai a disposizione due tipi di formaggio: uno che puoi avere quando vuoi e un’altro che, se non lo mangi subito, si trasformerà in muffa polverosa”.

A livello generale Instagram vince in partenza perché, fornendomi 2 opzioni, mi ha già reso più motivata.

A livello più specifico, poi, le stories battono 1 a 0 il news feed proprio a causa del principio di urgenza che si aggiunge a quello della scelta.

Non solo.

Il news feed è fatto di contenuti da scorrere, ordinati secondo un algoritmo che prova a indovinare qual è il migliore per me in quel momento.

Seguendo la metafora Instagram nel news feed mostra a uno a uno tutti i formaggi che ha sul bancone e io a volte mi ritrovo a scorrere il feed 6, 10, 17 volte prima di trovare un formaggio che mi va di mangiare.

Quando scorro i post sono passiva, mi abbandono e spesso mi annoio.

Quando scorro le stories, invece, sono io che scelgo: da chi ho voglia ora di farmi raccontare qualcosa?

Ogni formaggio è nascosto dietro a una porta che soltanto io decido di aprire e ciò, di conseguenza, mi induce a considerare quel formaggio più buono.

Stories battono quindi news feed 2 a 0.

Ed è forse il motivo per cui sono state aggiunte su tutti i social Zuckerberghiani.

E quindi?

La scontata riflessione successiva è: siamo quindi destinati ad assistere alla caduta dei post in favore delle stories?

Chi lo sa.

Quello che so è che se le stories soppiantassero i post sarebbe bellissimo: niente più contenuti da subire, niente più utilizzo dei social a mo’ di album dei ricordi, niente più commenti scomodi su cui rimuginare; saremmo liberi di dimenticare, di vivere l’istante, di non preoccuparci di un futuro selezionatore del personale che vedrà la nostra espressione post-sbronza dimenticata 8 anni prima sul profilo.

Ma quello che so è anche che se le stories soppiantassero i post sarebbe terribile: il nostro interesse morboso per le vite altrui non troverebbe spazio, avremmo accesso soltanto all’ultima puntata ma non al riassunto delle precedenti. Forse vivremmo ancora di più nell’ansia di perdere qualche informazione importante e diventeremmo ancora più dipendenti da notifiche di ogni genere.

Come ormai abbiamo imparato siamo (anche) noi che scriviamo la storia del digital attraverso le nostre scelte quotidiane e le nostre abitudini: se nessuno lo usa lo strumento muore, se nessuno lo mangia, il formaggio ammuffisce. Gli algoritmi si plasmano (anche) sotto al nostro utilizzo per renderci sempre un po’ più motivati, sempre un po’ più aderenti.

E poiché è vero che scegliere ci incentiva ma è allo stesso tempo innegabile che siamo incredibilmente pigri, non abbiamo sempre voglia di aprire porta dopo porta per poter mangiare il formaggio.

Spesso ci fa semplicemente più comodo accontentarci di aprire la bocca e mangiare, senza chiederci se fosse disponibile da qualche parte un formaggio migliore.

Siamo essere complessi che vogliono al contempo una cosa e il suo contrario: per questo motivo i social (ma non solo) nascono semplici e diventano via via più complessi.

In questo darwinismo digitale la soluzione che sopravvive è sempre quella che sa adattarsi meglio alla natura (umana).

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alessia musi

Qui scrivo di internet, di Carlo e di cose che non sapevo.